13 gennaio 2016 Comunicato stampa
I pasdaran delle trivelle
nelle istituzioni creano un problema al governo
subito la moratoria e il
rigetto delle procedure sinora “sospese”
I 4 peccati originali del Ministro dello Sviluppo economico
Il Governo Renzi ha un problema con i pasdaran pro-trivelle del Ministero dello Sviluppo Economico che,
favorendo il più clamoroso conflitto
istituzionale oggi in atto (con 10 Regioni che hanno promosso 6
referendum), interpretano in maniera distorta e riduttiva il ruolo del
Ministero facendo proprie le valutazioni
di Assomineraria e gli interessi dei petrolieri e non difendendo, con
altrettanta forza, gli altri settori economici consolidati strategici per il Paese
(turismo e pesca).
WWF, Legambiente e
Greenpeace Italia
chiedono il rigetto definitivo di tutti
i procedimenti ancora pendenti nell’area di interdizione delle 12 miglia dalla
costa (a cominciare da Ombrina) e
una moratoria di tutte le attività di trivellazione a mare e a terra. Le
associazioni denunciano inoltre una grave distorsione nell’operato del Ministero dello Sviluppo Economico, che
sostiene e attua politiche di retroguardia in una difesa d’ufficio dei
combustibili fossili, contro le scelte energetiche imposte dagli impegni
assunti dall’Italia per la salvaguardia del clima: promuovere le energie
rinnovabili, il risparmio e l’efficienza energetica per mantenere
il riscaldamento globale entro 1,5°C.
Lo ricordano gli
ambientalisti nel giorno in cui la Corte Costituzionale ha deciso di rimandare
la Camera di Consiglio sui sei referendum proposti dalle Regioni sulle norme contenute nel decreto
Sviluppo del 2012 e nel decreto Sblocca Italia del 2014, segnalando 4 peccati originali a
conferma della loro valutazione:
1.
Il 23
dicembre il Governo ha dovuto cambiare le norme, volute dal Ministero dello
Sviluppo Economico, con le quali si stabiliva la strategicità per legge delle
attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi da
autorizzare con iter semplificati e super accelerati che emarginavano le
Regioni. Con quelle norme si facevano salvi non solo gli atti abilitativi acquisiti, ma anche i soli procedimenti connessi e conseguenti in corso sino alla fine
di giugno 2010 nell’area off limits delle 12 miglia marine. Il Governo l’ha
fatto per disinnescare i referendum, ma quelle norme e procedure,
contestate da almeno 3 anni dagli
ambientalisti, erano evidentemente di dubbia legittimità.
2.
Il
Ministero dello Sviluppo Economico ha sempre fatto proprie pedissequamente le
valutazioni e le richieste di Assomineraria, garantendo un regime di franchigie, royalty e agevolazioni tra i più favorevoli al mondo (le royalty in Italia sono al massimo al 10%
mentre negli altri paesi produttori di petrolio vanno dal 25% della Guinea
all’80% di Norvegia e Russia) sposando anche gli studi, non verificati,
prodotti dai petrolieri sullo sviluppo del settore (stimando 25.000 nuovi
occupati), quando il turismo nelle aree
costiere messe a rischio dalle trivelle fa registrare ogni anno 43 milioni le
presenze di stranieri. Il solo settore della pesca occupa, già oggi, 25mila addetti, senza contare l’indotto e
la maricoltura (pesci e molluschi).
3.
Il Ministero
dello Sviluppo Economico, per la vigilanza sui grandi rischi connessi alle
trivellazioni, ha preteso e ottenuto l’istituzione di un comitato
interministeriale e di strutture territoriali dove sono presenti dirigenti e
funzionari dell’UNMIG (Ufficio nazionale minerario per gli
idrocarburi e le georisorse del Ministero)
avrebbe invece dovuto far nascere anche in Italia una’“Autorità competente”
indipendente, come richiesto dalla normativa europea (Direttiva
2013/30/UE), chiaramente distinta dagli uffici Ministero, per evitare conflitti
di interesse nello svolgimento dei suoi compiti, come richiesto
dall’Europa;
4.
Il Ministero dello
Sviluppo Economico è refrattario a qualsiasi forma di pianificazione
settoriale. Con la scusa dell’abrogazione della norme sottoposte a referendum è
stato fatto anche scomparire il Piano
delle aree per le trivellazioni, da sottoporre a valutazione ambientale
strategica, richiesto dalla normativa comunitaria.
Gli ambientalisti che l’Italia per essere
Paese coerente con gli impegni assunti a livello internazionale, dopo la COP 21
Parigi le strategie pro-fossili del governo Renzi (prosecuzione diretta della
Strategia Energetica Nazionale del governo Monti del 2012) dovrebbe definire al
più presto un Piano climatico energetico
che punti sulle energie rinnovabili, sul risparmio e l'efficienza
energetica, nel quadro di una più ampia Strategia
di decarbonizzazione per tutti i settori, per far fede all'impegno di
mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C.
Le Associazioni ambientaliste chiedono al Governo di uscire dalla
ottusa difesa degli interessi dei petrolieri e di ricondurre quanto prima il
Ministero dello Sviluppo Economico al suo ruolo istituzionale.
GREENPEACE LEGAMBIENTE WWF