giovedì 31 marzo 2016

Arresti al Centro oli di Viaggiano: petrolio e rifiuti, filiera oscura e dannosa per il territorio

“L’efficace attività operativa del Noe ha permesso ancora una volta di fare chiarezza in una vicenda relativa all’attività organizzata per il traffico e lo smaltimento illegale dei rifiuti.
A rendere più gravi, e quindi più importanti questi arresti, il fatto che riguardano attività inerenti lo smaltimento delle acque provenienti dalle lavorazioni petrolifere, delineando uno scenario particolarmente preoccupante per la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente e gettando ancora una volta l'ombra sulle attività dell’ENI in Val d’Agri, di Tecnoparco in Val Basento e di un sistema pubblico ormai chiaramente incapace di svolgere un autorevole servizio di controllo e monitoraggio ambientale. Quella del petrolio si conferma una filiera oscura e foriera di distorsioni che danneggiano pesantemente i territori”. 
Così la presidente nazionale di Legambiente Rossella Muroni ha commentato gli arresti avvenuti oggi a Potenza nell'ambito di un'inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e condotta dal Comando tutela ambiente dell’arma dei carabinieri, relativa all’organizzazione di traffico illecito di rifiuti, ultima delle 296 inchieste relative appunto al primo delitto ambientale introdotto nel Codice penale nel 2001, che fino ad oggi ha prodotto 1.562 ordinanze di custodia cautelare, 7.173 persone denunciate, con il coinvolgimento di 866 aziende. 
Oggi l’illegalità ambientale può essere contrastata con maggiore facilità anche grazie alla legge sugli ecoreati in vigore dal maggio dello scorso anno – ha continuato Rossella Muroni -. Norma che abbiamo chiesto per oltre 20 anni e che già oggi, a pochi mesi dall’entrata in vigore, ha prodotto enormi risultati a totale beneficio di ambiente e cittadini. Ma non basta. Serve liberare i territori dalla schiavitù delle fonti fossili, ed è per questo che il referendum del 17 aprile potrà dare un enorme contributo alla tutela dell’ambiente e allo sviluppo di un futuro pulito”.

"Quella del ‪#‎petrolio‬ si conferma una filiera oscura e foriera di distorsioni che danneggiano pesantemente i territori. 
Ancora ombre sulle attività dell’ENI in Val d’Agri, di Tecnoparco in Val Basento e di un sistema pubblico ormai chiaramente incapace di svolgere un autorevole servizio di controllo e monitoraggio ambientale”. http://bit.ly/arresticentrooli

Trivelle, il duello è anche tra ambientalisti e sindacati


Le organizzazioni di categoria di Cgil-Cisl-Uil per il “no” o l’astensione il 17 aprile: “Migliaia di lavoratori resterebbero a casa”. Legambiente: “nessun allarmismo, il vero giacimento è il biogas da residui agricoli”

La Fiom di Maurizio Landini voterà “sì”, i sindacati dell’energia e della chimica voteranno “no” o lavoreranno per sabotare il referendum. Per il segretario generale della Filctem-Cgil, Emilio Miceli i 21 impianti off shore che si trovano a ridosso della costa dovrebbero chiudere entro cinque o dieci anni: “il rischio è rimanere tutti a casa”, dice il sindacalista. Secondo la Filctem-Cgil nazionale se vincesse il sì al referendum, “molte imprese chiuderebbero i battenti, facendo emigrare verso altri lidi frotte di ingegneri e di complesse infrastrutture tecnologiche e logistiche che rischiamo di perdere, insieme a migliaia di posti di lavoro nell’indotto”. Dello stesso avviso la Uiltec nazionale: “a rischio ci sono imprese e quindi posti di lavoro, sia diretti che dell’indotto, con la conseguenza di mettere in ginocchio intere aree e territori, già fortemente martoriati dalla crisi”. Per le federazioni dell’energia della Cisl, Femca e Flaei diminuirebbe la produzione nazionale e quindi “aumenterebbero le importazioni di petrolio e gas e il traffico delle petroliere nei nostri mari provenienti da Paesi lontani. Di conseguenza non diminuirebbero le emissioni”.  

Non la pensano così molti militanti locali delle tre sigle di categoria. Ma soprattutto non sono d’accordo gli ambientalisti, che contestano le letture allarmistiche, e dicono che l’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalle piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare - dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente - non è sotto i nostri mari ma nei territori e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”. 

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente replica con i numeri: già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. E secondo i dati dell’Isfol gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole. 

giovedì 17 marzo 2016

NO alle TRIVELLE !!!!

Referendum trivelle 17 aprile: le piattaforme e le attività di ricerca

Il referendum del 17 aprile sulle trivellazioni riguarda le attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi nel mare italiano entro le 12 miglia marine dalla costa. Il quesito interessa tutti i titoli abilitativi all’estrazione e alla ricerca di idrocarburi già rilasciati e interviene sulla loro data di scadenza. Perché questo quesito referendario, a cui Legambiente chiede di votare Sì? Perché il governo, con un emendamento alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il decreto legislativo 152/2006) ha vietato tutte le nuove attività entro le 12 miglia marine, ma ha mantenuto i titoli già rilasciati prevedendo che essi possano rimanere vigenti “fino a vita utile del giacimento”.
La legge in materia prevedeva che le concessioni di coltivazione avessero una durata trentennale (prorogabile attraverso apposita richiesta per periodi di ulteriori 5 o 10 anni) e i permessi di ricerca una durata di 6 anni (con massimo due proroghe consentite di 3 anni ciascuna); con questa modifica alla legge di Stabilità i titoli già rilasciati entro le 12 miglia dalla costa (e soltanto questi) non hanno più scadenza. Tutti gli altri titoli rilasciati (quelli cioè oltre le 12 miglia marine), possono avere durata di 30 anni nel caso di concessione di coltivazione e di 6 anni nel caso di permessi di ricerca, in base a un altro emendamento del governo alla legge di Stabilità 2016 (che modifica il comma 5 dell’articolo 38 del Decreto Sblocca Italia).
Nel nostro mare, entro le 12 miglia, ci sono ad oggi 35 concessioni di estrazione di idrocarburi (coltivazione). Tre di queste sono inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (è quella di Ombrina Mare, al largo delle coste abruzzesi), cinque erano non produttive nel 2015. Le altre 26 concessioni, che sono produttive, sono distribuite tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi.
Queste piattaforme, soggette a referendum, oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% del greggio estratti in Italia (il petrolio viene estratto nell’ambito di 4 concessioni dislocate tra Adriatico centrale - di fronte a Marche e Abruzzo - e nel Canale di Sicilia). La loro produzione nel 2015 è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas.

I consumi di petrolio in Italia nel 2014 sono stati di circa 57,3 milioni di tep (ovvero milioni di tonnellate). Quindi l’incidenza della produzione delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata di meno dell’1% rispetto al fabbisogno nazionale (0,95%).
Per il gas, i consumi nel 2014 sono stati di 50,7 milioni di tep corrispondenti a 62 miliardi di Smc; l’incidenza della produzione di gas dalle piattaforme entro le 12 miglia è stata del 3% del fabbisogno nazionale.
Dato che l’attuale normativa fa salvi tutti i titoli abilitativi già rilasciati e ancora vigenti, rientrano in questa categoria anche i permessi di ricerca presenti nell’area entro le 12 miglia marine. Sono nove, per un’estensione di 2.488 kmq. Quattro si trovano nell’alto Adriatico (3 sono attualmente sospesi in attesa di apposito decreto VIA che certifichi la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza; 1 risulta attivo con scadenza nel 2018); altri 2 permessi di ricerca ricadono nell’Adriatico centrale di fronte alle coste abruzzesi e sono momentaneamente sospesi; un permesso di ricerca si trova nella porzione meridionale della Sicilia, tra Pachino e Pozzallo, ed è attualmente sospeso; un altro permesso ricade di fronte la costa di Sibari e la data di scadenza è nel 2020; l’ultimo permesso ricade a largo dell’isola di Pantelleria ed è sospeso per problemi tecnici.
E’ importante sottolineare che i dati forniti dall’Ufficio minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero delle Sviluppo Economico, e da Assomineraria, stimano riserve certe sotto i fondali italiani che sarebbero sufficienti (nel caso dovessimo contare solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per appena 6 mesi.
“E’ importante ricordare - sottolinea Rossella Muroni, presidente di Legambiente - che mettere una scadenza alle concessioni date a società private, che svolgono la loro attività sfruttando beni appartenenti allo Stato, non è una fissazione delle associazioni ambientaliste o dei comitati, ma è una regola comunitaria. Non si capisce - prosegue Muroni - perché in questo caso, le compagnie petrolifere debbano godere di una normativa davvero speciale, che non vale per nessun’altra concessione, togliendo ogni scadenza temporale e lasciando la possibilità di appropriarsi di una risorsa pubblica a tempo indeterminato. E ci preoccupa molto - aggiunge la presidente di Legambiente - che il governo, invece di spiegare come intende portare l’Italia fuori dall’era dei fossili, in linea con gli impegni presi a Parigi alla Cop21, mandi segnali contrari quali togliere la scadenza alle attività estrattive in mare entro le 12 miglia”.
Al di là del merito, non si comprende perché i debbano godere di un privilegio che non è dato, giustamente, a nessun altro, e che si aggiunge a tanti altri, agevolazioni fiscali, sussidi indiretti o royalties molto vantaggiose, che Legambiente ha quantificato in circa 2,1miliardi di sussidi diretti o indiretti all’anno all’intero comparto.

martedì 15 marzo 2016

Art. di NUOVA ECOLOGIA- NO trivelle

Trivelle, la Basilicata in prima linea per il Sì al referendum

Cresce la mobilitazione in vista del 17 aprile. Temprone: «Il petrolio non porta occupazione»
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trivelle greenpeace
Una regione che fa scuola sulle trivelle, e che si mobilita per il Sì al referendum del 17 aprile. È significativo che le associazioni lucane si mobilitano per il referendum del 17 aprile con cui si deciderà se cancellare o meno la norma della legge di stabilità che prevede la coltivazione di idrocarburi relativa a provvedimenti concessori già rilasciati in zone di mare entro dodici miglia marine con durata pari alla vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. Parallelamente al “Comitato del Sì” delle regioni promotrici capitanato proprio dal presidente del Consiglio regionale di Basilicata Piero Lacorazza, è nato quello lucano delle associazioni (Legambiente, Wwf, No Triv, Libera, ecc.), movimenti, singoli cittadini, che si è riunito a Potenza per la prima assemblea pubblica.
Nella regione con i più grandi giacimenti di petrolio non solo del Paese ma di tutta l’Europa occidentale e la cui avventura petrolifera prende le mosse già nella metà del secolo scorso, il referendum rappresenta l’occasione per invertire la marcia, lanciare un segnale importante all’Italia e all’Europa: il fossile è una scelta superata oltre che sbagliata. E chi più della Basilicata è “legittimata” a dirlo, se anni e anni di corsa all’oro nero – come emerso dall’incontro – non hanno portato a nulla di quanto promesso dalle grandi compagnie petrolifere.
«La Basilicata è la dimostrazione che il sistema petrolio non funziona, sia in termini occupazionali che di nuovi benefici sul territorio – spiega Valeria Termpone, direttrice di Legambiente Basilicata – Per questo al referendum, sebbene siamo chiamati a pronunciarci solo sul mare, dobbiamo votare “Sì”. Un futuro fossil free non solo è possibile, ma è già in atto. Anche in Basilicata, dove il 25,6% di energia prodotta viene da fonti rinnovabili a fronte del 40% italiano dove il settore ha prodotto 60.000 posti di lavoro».
referendum
Nella Val d’Agri, dove insiste il centro oli di Viggiano dell’Eni, che pure tante preoccupazioni suscita nei cittadini con le continue eccezionali fiammate, i numeri sull’occupazione sono talmente irrisori da non giustificare ulteriori compromessi che mettano a rischio le preziose risorse idriche, naturali, economiche e storiche del territorio. Un dato tale da spingere perfino la Cgil Basilicata a lanciare per prima l’appello a votare sì al referendum del 17 aprile.  Patrimonio culturale, biodiversità, produzioni tipiche, turismo ed energia pulita sono gli ingredienti della ricetta che il comitato delle associazioni lucane per il Sì offre alla Basilicata e all’intero Paese. Come in mare così in terra.

martedì 1 marzo 2016



COMUNICATO  STAMPA

Parlare di territorio significa far conoscere a tanta gente, dai più piccoli ai più grandi, la bellezza del proprio patrimonio dunale, spesso non conosciuto e ignorato nelle sue caratteristiche.
Di questo si discuterà, giovedì, 3 marzo 2016, alle ore 18:00, nella sala consiliare del Comune di Policoro.
L'obiettivo di questo EVENTO, organizzato dal Circolo Legambiente di Policoro, sarà quello di divulgare la bellezza della duna costiera, conoscerne la flora e la fauna presente e, soprattutto, far affezionare le giovani generazioni a ciò che il pianeta Terra ci offre: i profumi, i colori, i suoni, ........di questo mondo misterioso, ma tanto affascinante.
In questo evento sono stati coinvolti i ragazzi delle “classi ambiente”, le 3° e le 4° della scuola primaria dell'I.C.2 "Giovanni Paolo II" di Policoro che, dopo le escursioni sulle dune effettuate nei giorni precedenti, hanno collaborato con il Circolo locale a rendere più bella e interessante l’iniziativa. Infatti, in occasione del CONVEGNO, sarà allestita una MOSTRA realizzata con le "opere" create proprio dai ragazzi inerenti al tema dell’evento. Mentre, il convegno, intitolato : “LA DUNA, un patrimonio da valorizzare”, sarà aperto alle famiglie e ai cittadini di Policoro. Al tavolo saranno presenti: Rocco Leone, sindaco di Policoro, Alessandro Ferri, neo-presidente regionale di Legambiente, Stella Bonavita del circolo Legambiente di Policoro, Gianleo Iosca del CSVBasilicata, Maria Carmela Stigliano, Dirigente scolastico dell’I.C.2 di Policoro, Enrico De Capua, Dirigente della Provincia di Matera, Aldo Berlinguer, Assessore Ambiente e Territorio della regione Basilicata, e concluderà i lavori, Stefano Ciafani, Direttore Nazionale di Legambiente.
Inoltre, sarà approntato un angolo per informare i cittadini sull’importanza del voto al Referendum del 17 Aprile sulle trivelle.

VI  ASPETTIAMO !!!!


Policoro, 1 marzo 2016                                                    Circolo LEGAMBIENTE Policoro
                                                                                                                  Ufficio stampa