giovedì 31 marzo 2016

Trivelle, il duello è anche tra ambientalisti e sindacati


Le organizzazioni di categoria di Cgil-Cisl-Uil per il “no” o l’astensione il 17 aprile: “Migliaia di lavoratori resterebbero a casa”. Legambiente: “nessun allarmismo, il vero giacimento è il biogas da residui agricoli”

La Fiom di Maurizio Landini voterà “sì”, i sindacati dell’energia e della chimica voteranno “no” o lavoreranno per sabotare il referendum. Per il segretario generale della Filctem-Cgil, Emilio Miceli i 21 impianti off shore che si trovano a ridosso della costa dovrebbero chiudere entro cinque o dieci anni: “il rischio è rimanere tutti a casa”, dice il sindacalista. Secondo la Filctem-Cgil nazionale se vincesse il sì al referendum, “molte imprese chiuderebbero i battenti, facendo emigrare verso altri lidi frotte di ingegneri e di complesse infrastrutture tecnologiche e logistiche che rischiamo di perdere, insieme a migliaia di posti di lavoro nell’indotto”. Dello stesso avviso la Uiltec nazionale: “a rischio ci sono imprese e quindi posti di lavoro, sia diretti che dell’indotto, con la conseguenza di mettere in ginocchio intere aree e territori, già fortemente martoriati dalla crisi”. Per le federazioni dell’energia della Cisl, Femca e Flaei diminuirebbe la produzione nazionale e quindi “aumenterebbero le importazioni di petrolio e gas e il traffico delle petroliere nei nostri mari provenienti da Paesi lontani. Di conseguenza non diminuirebbero le emissioni”.  

Non la pensano così molti militanti locali delle tre sigle di categoria. Ma soprattutto non sono d’accordo gli ambientalisti, che contestano le letture allarmistiche, e dicono che l’alternativa alle trivellazioni di gas in Italia esiste già: con il biometano si può produrre una quantità di gas quattro volte superiore a quella che si estrae dalle piattaforme entro le 12 miglia, creando più lavoro e opportunità per i territori. “Il vero grande giacimento italiano da sfruttare - dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente - non è sotto i nostri mari ma nei territori e nella valorizzazione del biogas e del biometano prodotti da discariche e scarti agricoli”. 

All’allarme, sollevato sul referendum del 17 aprile sulle trivellazioni in mare entro le 12 miglia, su un’Italia messa in ginocchio senza il gas estratto da quelle trivelle e costretta ad aumentare le importazioni dall’estero via nave, Legambiente replica con i numeri: già oggi si produce elettricità in Italia con impianti a biogas che garantiscono il 7% dei consumi. Ma il potenziale per il biometano, ottenuto come upgrading del biogas e che può essere immesso nella rete Snam per sostituire nei diversi usi il gas tradizionale, è in Italia di oltre 8 miliardi di metri cubi. Ossia il 13% del fabbisogno nazionale e oltre quattro volte la quantità di gas estratta nelle piattaforme entro le 12 miglia oggetto del referendum. E secondo i dati dell’Isfol gli occupati nelle piattaforme oggetto del referendum sono 3mila, ossia già oggi meno dei 5mila occupati nel biogas, con la differenza che questi ultimi possono arrivare a superare i 12mila occupati stabili e con potenzialità maggiori proprio al Sud‎ e nelle aree agricole.