domenica 30 agosto 2015

SALVIAMO le COSTE italiane

Deturpato dal cemento il 56% dei paesaggi costieri italiani, 222 chilometri di costa cancellati negli ultimi trent’anni. Record negativo della Calabria che ha perso il 65% di litorale

Legambiente ha avviato nel 2012 uno studio delle aree costiere di tutta la Penisola (ad eccezione di Sicilia e Sardegna, che rientreranno nella ricerca il prossimo anno) allo scopo di registrarne il consumo legato a speculazione edilizia e urbanizzazione di paesaggi agricoli e naturali.
Il quadro che emerge dal dossier, che prende in esame 13 regioni, è tanto impressionante quanto paradossale: sui 3.902 chilometri di coste analizzate da Ventimiglia a Trieste, oltre 2.194 chilometri, ossia il 56,2% dei paesaggi costieri, sono stati trasformati dall’urbanizzazione. Dal 1985, anno della Legge Galasso, sono stati cancellati dal cemento circa 222 chilometri di paesaggio costiero, a un ritmo di quasi 8 chilometri l’anno. Leggi tutto

DOSSIER SALVIAMO LE COSTE ITALIANE >> qui

 


APPROFONDIMENTI
Atlante dei paesaggi costieri >>qui

mercoledì 19 agosto 2015

Incenerire e trivellare: la “green economy” del governo Renzi

Stefano Ciafani
Vicepresidente Legambiente
Dopo il via libera alle nuove trivellazioni di petrolio, arriva anche la bozza di Decreto del presidente del consiglio dei Ministri (Dpcm) sulla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento.
Chi pensava che con lo Sblocca Italia, l’estrazione degli idrocarburi, le nuove grandi e inutili opere, il governo avesse toccato il fondo delle politiche ambientali, sbagliava di grosso. L’ultima conferma arriva con lo schema di Dpcm sull’incenerimento dei rifiuti in attuazione dell’articolo 35 del decreto Sblocca Italia che prevede 12 nuovi inceneritori in Italia (3 nel nord Italia, 4 nel centro, 3 nel Sud e 2 in Sicilia) che si aggiungerebbero a quelli già attivi, di cui non si prevede lontanamente lo spegnimento, neanche di quelli evidentemente “cotti” e quindi da dismettere (e ce ne sono diversi). 
Si tratta di una proposta da respingere al mittente per tanti  motivi evidenti.
 
Il primo motivo è che Palazzo Chigi fa finta di non vedere che ancora una volta manca l’oggetto del contendere, e cioè i quantitativi di rifiuti. Sfidiamo chiunque a garantirsi quelle quantità di rifiuti da bruciare previste nella bozza di Dpcm ed è impossibile non tener conto dell’aumento inesorabile delle quantità avviate a riciclo, oltre che di quelle oggetto delle inevitabili politiche di prevenzione. I quantitativi da bruciare in nuovi impianti sono sovrastimati dal governo perché sono calcolati su un obiettivo del 65% di raccolta differenziata già ampiamente superato in diverse regioni (a partire da Veneto, da Friuli Venezia Giulia, Marche). Non si considerano né il programma nazionale di prevenzione (ma il ministro Galletti si ricorda che il suo predecessore ha approvato quel piano nel 2013 e che lui stesso ha messo in piedi un Comitato scientifico presieduto dal professor Andrea Segrè per la sua attuazione?) né il fatto che l’altra lobby concorrente, quella del cemento, sta cercando di bruciare nuovi quantitativi di combustibili da rifiuti (Css) nei loro impianti. Tra l’altro già oggi gli impianti da poco costruiti, come ad esempio quello di Parma, sono in grande difficoltà perché grazie alle raccolte differenziate domiciliari e la tariffazione puntuale non hanno più i rifiuti dal territorio che li ospita e sono costretti a cercarli da altre regioni. Lo stanno facendo utilizzando proprio l’articolo 35 dello Sblocca Italia che smonta il condivisibile principio di prossimità, moltiplicando i viaggi dei rifiuti urbani da una parte all’altra del paese (opzione che andrebbe invece minimizzata), e permette anche di ri-autorizzare gli impianti sul carico termico massimo, aumentando i quantitativi di rifiuti da bruciare (a proposito, le capacità di trattamento descritte nella bozza di Dpcm non tengono conto di queste nuove autorizzazioni).  Insomma sull’incenerimento il governo dà veramente i numeri.
Il secondo motivo è che ancora una volta si guarda agli interessi di poche società e non a quelli del paese. Si tratta infatti di una bozza di decreto che è a nostro avviso il frutto della sommatoria delle richieste singole delle aziende di gestione dei rifiuti, soprattutto delle multiutilities del nord, che ancora non hanno capito che in questo paese il vento è cambiato e che non c’è più spazio per nuovi inceneritori. Opzione che va invece ridotta inesorabilmente nel prossimo futuro a vantaggio della economia circolare di cui si è tornato a parlare finalmente in Europa (è curioso notare come la responsabile del dossier su questo tema sia la parlamentare europea PD Simona Bonafè, molto vicina al premier Renzi). Ancora una volta il governo scrive un decreto sotto dettatura di una lobby: del resto, vedendo la distribuzione territoriale dei 12 impianti, è abbastanza semplice capire chi sono i promotori dei singoli progetti che il governo ha prontamente fatto propri. Il Paese invece avrebbe bisogno di tanti impianti che non ci sono e che servirebbero molto ai cittadini e alle loro tasche. Serve realizzare, soprattutto nel centro sud, gli impianti per trattare l’organico differenziato (recuperando energia con il biogas), raccolto dai sempre più numerosi Comuni ricicloni, che purtroppo continua a viaggiare quotidianamente su gomma per diverse centinaia di chilometri, spendendo inutilmente soldi in inquinanti trasporti e consumando gasolio. Serve costruire la rete capillare degli impianti per la massimizzazione del riciclaggio (ecodistretti, fabbriche dei materiali, etc) e per la preparazione per il riutilizzo dei rifiuti. Tutti quegli impianti che alla base della legge di iniziativa popolare “Rifiuti zero”, curiosamente in discussione in Commissione Ambiente della Camera dei deputati, mentre il Governo spinge sull’incenerimento.
Insomma gli impianti servono, e ce ne vogliono davvero tanti nuovi sul territorio nazionale, ma non quelli che hanno in testa le società di igiene urbana quotate in Borsa, a partire da A2A, Hera e Iren, tutte aziende che guidano la “nuova confidustria dei rifiuti, dell’acqua e del gas” da poco costituita, che si chiama Utilitalia.
Il terzo motivo è che questo schema di dpcm non fa altro che spostare l’attenzione su un piano che non si concretizzerà mai per questioni politiche (tutte le Regioni hanno già detto “no grazie”), sociali (quali sono i territori disponibili ad ospitare impianti di questo tipo?), ma soprattutto economiche. I potenziali prezzi di conferimento dei nuovi impianti non sarebbero infatti competitivi con gli inceneritori esistenti, a partire da quelli del nord Europa, che continuerebbero inevitabilmente a bruciare anche i rifiuti italiani con buona pace di chi ha scritto lo Sblocca Italia (non è un decreto che definisce le rotte dei rifiuti ma è il costo di conferimento all’impianto: gli impianti nord europei sovradimensionati e costruiti negli anni ’90 garantiscono prezzi bassissimi che nessun inceneritore italiano, vecchio o nuovo, è in grado di assicurare). Tutto questo ci farà purtroppo perdere altro tempo che soprattutto in alcune regioni critiche (come ad esempio Sicilia, Puglia o Lazio) non abbiamo.
Insomma non scherziamo: se il governo vuole lavorare sul serio sulla gestione dei rifiuti cancelli questa bozza di Dpcm e scriva un nuovo testo che punta davvero all’economia circolare. Basterebbe rivedere completamente il principio di penalità e premialità economica nel ciclo dei rifiuti e il cambio di passo sarebbe garantito. Serve tartassare le discariche utilizzando al meglio l’ecotassa (perché non cambiare quello strumento ormai datato, approvato nel lontano 1995, trasformando il tetto massimo di 25 euro/t della tassa in un tetto minimo di 50 euro/t come da nostra proposta?): in questo modo il costo della discarica schizzerebbe in alto e si ridurrebbe in pochi mesi il flusso di rifiuti smaltiti sotto terra. Gli incentivi alla produzione di elettricità da incenerimento vanno cancellati e questo è il momento giusto: in questi mesi infatti sono in discussione nella bozza di decreto sulle rinnovabili non fotovoltaiche, dove nella prima bozza del decreto erano ancora previsti mentre nella seconda sono fortunatamente spariti (la loro ricomparsa sarebbe uno schiaffo al mondo delle vere rinnovabili).
Se invece l’esecutivo continuerà sulla strada del Dpcm in discussione, ci sarà un solo risultato: lo stallo totale che farà felici ancora una volta i tanti signori delle discariche che continuano a fare soldi e governare il ciclo dei rifiuti grazie alle inesistenti politiche di settore. In barba alle tante esperienze virtuose messe in campo dai comuni ricicloni e dalle aziende serie che hanno sottoscritto con entusiasmo il nostro manifesto per un’Italia rifiuti free.


giovedì 13 agosto 2015

L' INCIVILTA' e L'INDIFFERENZA


Queste immagini raccontano lo stato di degrado in cui versa la pineta di Policoro (lato destro-angolo lungomare).Certamente l'inciviltà e la maleducazione fa da padrona e la pineta è stata trasformata in una discarica a cielo aperto. Non solo! Come ben si evince dalle immagini, possiamo notare che CHI doveva pulire la pineta ha preferito abbandonare i TAGLI IMPROPRI fatti mesi fa ai danni della MACCHIA MEDITERRANEA, giustificando le malefatte con un progetto di salvaguardia della pineta oppure per la sicurezza antincendio. Alla faccia del rispetto ambientale, qui è tutto il contrario di quello che ci è stato raccontato, non c'è nessuna tutela della pineta perchè i tagli al sottobosco(ginepro, lentisco,....) sono stati fatti e l'accumulo dei tagli non sono stati mai raccolti, adesso sono secchi e creano davvero le condizioni per un grave incendio.
Allora, smettiamola di prenderci in giro, sono anni che ripetiamo le stesse cose ma i risultati non arrivano e poi continuiamo a parlare di sostenibilità, fruibilità ambientale.
 Ma a quale prezzo??????





lunedì 10 agosto 2015

I campionamenti di Goletta Verde, ecco i nostri tecnici al lavoro

DATI goletta verde

Depurazione, ancora criticità alla foce del Bufaloria e del Basento
 Legambiente: “Il 38% dei reflui della Basilicata non viene trattato adeguatamente. È urgente porre fine alla crisi depurativa di questa regione: utilizzare subito i fondi già disponibili per garantire la qualità ecologica dei mari e fiumi, coinvolgendo sia i comuni costieri che dell’entroterra”
  Dalle foci dei fiumi arriva a mare un carico inquinante ancora troppo elevato, con evidenti problemi per la salvaguardia dell’ecosistema marino. Due dei tre campionamenti effettuati lungo le coste della Basilicata,così come già capitato negli anni passati, hanno, infatti, evidenziato cariche batteriche elevate. Nello specifico, fortemente inquinato è stato giudicato il campionamento effettuato alla foce del canale Bufaloria, in località Lido Torre a Scanzano Jonico, mentre il giudizio è di "inquinato" per la foce del fiume Basento a Torre a Mare di Metaponto. Nei limiti di legge, invece, il prelievo effettuato presso la spiaggia di Calaficarra a Marina di Maratea.
 Legambiente chiede quindi che Regione Basilicata e amministrazioni comunali si attivino immediatamente per porre fine alla crisi depurativa di questa regione utilizzando subito i fondi già disponibili per garantire la qualità ecologica dei mari e fiumi, coinvolgendo sia i comuni costieri che dell’entroterra.
 È questa la fotografia scattata da Goletta Verde, la storica campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all’informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane, realizzata anche grazie al contributo del COOU, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati,e presentata questa mattina a Maratea da Katiuscia Eroe, portavoce di Goletta Verde e Valeria Tempone, segreteria Legambiente Basilicata.
“La situazione dei nostri mari risente inevitabilmente del forte deficit depurativo che vive l'Italia, dove secondo le ultime stime dell'Istat e del Governo tre italiani su dieci non sono ancora allacciati a fognature o a depuratori e il 40% dei nostri fiumi risultano gravemente inquinati - dichiara Katiuscia Eroe, portavoce della Goletta Verde -. Sono passati dieci anni dal termine ultimo che l'Unione Europea ci aveva imposto per mettere a norma i sistemi fognari e depurativi, ma piuttosto di agire non abbiamo fatto altro che collezionare multe. A pagare l’immobilismo cronico delle istituzioni, quando siamo prossimi ormai alla terza sentenza di condanna prevista, saranno al solito i cittadini, visto che secondo le stime della Struttura di missione #italiasicura di Palazzo Chigi queste criticità ci costeranno, a partire dal 2016 e fino al completamento degli interventi di adeguamento richiesti, 480 milioni di euro all’anno”.
Secondo i dati Istat (aggiornamento al 2012) in Basilicata il 38% dei carichi civili inquinanti non viene ancora trattato in maniera adeguata.  Criticità evidenziate, come detto, anche nell’ultima procedura d’infrazione aperta dall’Ue nei confronti dell’Italia che comprende anche 41 agglomerati lucani. Per far fronte alla prima condanna del 2012 era stato stimato un fabbisogno per questa regione di circa 33milioni di euro e di questi la delibera CIPE 60/2012 ne stanziava circa 32 milioni (più altri 628mila  da altre risorse). Ad oggi però (dati della presidenza del Consiglio di aprile) nessuna delle 11 opere previste è stata sbloccata e iniziata.
"La carenza depurativa di questa regione è nota e la denunciamo puntualmente ogni anno al passaggio di Goletta Verde – spiega  Valeria Tempone, della segreteria di Legambiente Basilicata -. Certamente i dati ci consegnano una fotografia che necessita di un approfondimento da parte delle amministrazioni competenti per individuarne le cause e risolvere il problema delle foci che al momento del prelievo sono risultate inquinate. Ed è un problema che riguarda non solo per le località costiere ma anche per i comuni dell’entroterra che sono ugualmente interessati dall’inadeguatezza del trattamento dei reflui. Le nostre analisi rappresentano un campanello d’allarme, un’istantanea che mettiamo a disposizione e su cui invitiamo le istituzioni a intervenire subito. La priorità resta l’adeguamento delle reti fognarie ed il completamento della copertura di tutti i comuni del territorio lucano. I fondi, come evidenziato, sono già disponibili ma come è accaduto in altre parti d’Italia anche qui mancano progetti cantierabili e realizzabili”.
I prelievi e le analisi di Goletta Verde sono stati eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente il 16 luglio scorso. I parametri indagati sono microbiologici (Enterococchi intestinali, Escherichia coli) e abbiamo considerato come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010) e “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori. L’obiettivo del monitoraggio di Goletta Verde è quello di individuare i punti critici di una regione, analizzando il carico batterico che arriva in mare. Anche nel caso della Basilicata, dunque, l’attenzione è stata focalizzata soprattutto alle foci e in tratti “sospetti” segnalati dai cittadini, attraverso il servizio SOS Goletta (www.legambiente.it/sosgoletta). Legambiente, è bene ribadirlo effettua un’istantanea che non vuole sostituirsi ai monitoraggi ufficiali e non assegna patenti di balneabilità. È evidente, però, che i due punti critici evidenziati dai nostri monitoraggi meritano un approfondimento da parte degli enti competenti.
 Tra i fattori inquinanti, troppo spesso sottovalutati, c’è anche il corretto smaltimento degli olii esausti. Proprio per questo anche quest’anno il Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati è main partner della storica campagna estiva di Legambiente. Attivo da 31 anni, il COOU garantisce la raccolta degli oli lubrificanti usati su tutto il territorio nazionale, che vengono poi avviati al recupero. L’olio usato - che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, ma anche nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli - è un rifiuto pericoloso per la salute e per l’ambiente che deve essere smaltito correttamente: 4 chili di olio usato, il cambio di un’auto, se versati in acqua inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche. A contatto con l’acqua, l’olio lubrificante usato crea una patina sottile che impedisce alla flora e alla fauna sottostante di respirare. “La difesa dell’ambiente, in particolare del mare e dei laghi, rappresenta uno dei capisaldi della nostra azione”, spiega il presidente del COOU Paolo Tomasi. L’operato del Consorzio con la sua filiera non evita solo una potenziale dispersione nell’ambiente di un rifiuto pericoloso, ma lo trasforma in una preziosa risorsa per l’economia del Paese. 


sabato 8 agosto 2015

STOP alle TRIVELLE

Tappiamoci tutti insieme le orecchie in segno di protesta

05 ago, 2015 — Continua la battaglia della Goletta Verde contro le trivellazioni e contro l'Airgun. Sono più di 40.000 le persone che hanno già sottoscritto il nostro appello al Governo per...Leggi di più
Leggi di più